Il caso di Moncarello

Era stato un inverno freddissimo, gli animali del bosco avevano patito la fame. Ora, magri e sparuti, si erano fatti coraggio ed erano usciti fuori dalle loro tane per scaldarsi al sole di aprile e per cercare qualcosa da mettere sotto i denti.
Compare Lupo, diventato pelle e ossa per il lungo digiuno, si aggirava al Pianel di Pegli cercando una preda facile da acchiappare, quando si imbatté in Comare Volpe. Essa camminava disinvolta e non sembrava male in arnese.
Si salutarono cordialmente : “Buongiorno, Comare Volpe- esclamò il lupo- quanto tempo che non ci vediamo! Che brutto inverno che abbiamo passato!” “Eh si, ma ora è tornata la bella stagione” “Quanto freddo e quanta fame!”.
La volpe si disse d’accordo. Anche lei aveva patito la fame e aveva bisogno di rimettersi in forze. “ so però dove trovare tanto cibo e con poca fatica” aggiunse con espressione furba. Il lupo pieno di ammirazione chiese dove era la volpe: “ Da Moncarello, dove se no?” “ Da Moncarello? Ma è un tipo pericoloso ed avaro non ci mette niente a ricorrere al fucile!” “ Certo!... se non ci sa fare … Ma io quando escon con le sue pecire… Allora non c’è nessun pericolo perhcè sta via molto: va fino in Baldozzana!””Ma davvero? Come siete in gamba! Pensate proprio a tutto!”
Piena di orgoglio la volpe propose: “Compare Lupo, potreste venire con me: ci sto andando proprio ora”.
Il lupo, attratto dall’idea di potersi finalmente riempire la pancia e pieno di fiducia nella volpe, non si fece pregare e la seguì. Passarono la Cuncia, poi sotto la Lorta, arrivarono sotto Minaterra, arrivarono all’ultima casa, dove abitava Moncarello. Era un posto piuttosto isolato, circondato sotto dal bosco e sopra da orti che non erano ancora zappati.
Senza avere incontrato nessuno i nostri amici, che erano magrissimi per il lungo digiuno, si infilarono in casa attraverso il buco che permetteva alla galline di entrare ed uscire dal pollaio. Si ritrovarono in un ambiente assai grande, mal illuminato da una finestrella col vetro opaco per le ragnatele e la polvere. Quando ebbero abituato gli occhi alla penombra, si trovarono di fronte a uno spettacolo meraviglioso: le pareti erano ricoperte da scaffali pieni di ogni ben di dio: c’erano, disposti in bel ordine, barattoli di salsa di pomodoro, conserve di frutta e di tutti i tipi, funghetti sott’olio, marmellate di pesche e ciliegie, fragole e lamponi sciroppati. Più sotto c’erano file di bottiglie di vino di Bancola, rosso e bianco, fiaschi di olio di Codiponte, contenitori di ogni tipo pieni di acquavite e rosolio. Inoltre dal soffitto pendevano lunghi salami, mortadelle arrotolate con la foglia di alloro nel mezzo, prosciutti ben speziati, collane di salsicce e tranci di lardo e pancette affumicate.
Affamato come era il lupo non perse tempo ed iniziò ad ingozzarsi a più non posso: ogni boccone che faceva divorava un salame intero oppure un prosciutto o una formaggetta o un barattolo di consenca senza masticare; il vino poi lo ingoiava a bottiglie e a fischi interi. A forza di mangiare in poco tempo gli venne un enorme pancione.
 La volpe invece si accontentò di mangiare qualche fettina di prosciutto e un po’ di cacio.
Ad un certo punto si sentì un rumore di scarpe chiodate e di bastone che picchiava sui lastroni di pietra della via, poi il cigolio di una chiave girata nella serratura … Era Moncarello che tornava a casa prima del solito. La volpe che era rimasta magra e sottile riuscì a scappare rapidamente dal buco delle galline e a mettersi in salvo, il lupo cercò di seguirla ma non riusciva più a far passare la sua pancia dal buco delle galline da tanto che era ingrossata. Il poveretto si divincolava, si di divincolava ma faceva solo rumore.. Moncarello lo sentì e si accorse in cantina armato del suo grosso bastone nodoso. Appena lo vide gli si precipitò contro ed iniziò a prenderlo a bastonate nel sedere. Ad ogni bastonata che gli dava dalla bocca del lupo usciva una formaggetta o un salame intero. Alla fine tutto ammaccato il povero lupo riuscì con un ultimo sforzo a fuggire. Intanto la volpe approfittando della confusione, si era recata nel pollaio di Moncarello, aveva tirato il collo a sette delle otto galline, le aveva sventrate, se le era mangiate con calma, poi si era arrotolate le loro budella intorno al collo.
Nel pomeriggio i nostri due personaggi si incontrarono nuovamente al Pianel de Pegli. Il lupo procedeva a fatica zoppicando. Quando vide la volpe le andò incontro come poté e : “ Buona sera, comare Volpe!- disse- Che disgrazia questa mattina! Quante me ne ha date Moncarello! E con che Forza! Sono qui con le ossa tutte rotte, che non ce la faccio quasi a saltare in piedi … E a voi come è andata?”.
La volpe, con la sua faccia più marcia, si lamentò:” O povera me, povera me! Che male! Non ce la faccio più a camminare! Ahi ahi! Sono tutta rotta!”
“Povera volpe! Mi sembrate messa proprio male! Ma che vi è capitato?”
“ Ero riuscita a scappare dalla cantina di Moncarello, ma avevo ancora fame. Allora ho pensato di andare nel suo pollaio per saziarmi con una gallina. Ma non ero ancora entrata nel recinto che è arrivato quell’egoista e non solo mi ha riempito di botte ma mi ha cavato le budella dalla pancia e me le ha attorcigliate attorno al collo. Ahi ahi non ne posso più! Non ce la faccio a tornare alla mia tana!”
“Povera Comare- si impietosì lo sciocco lupo- Siete messa peggio di me! Ma facciamo così, poverina: salite sulle mie spalle ed in qualche modo riuscirò a portarvi a casa vostra.”
Così la volpe salì sulle spalle del lupo, che era tutto pieno di lividi, graffi e contusioni di ogni tipo, ed iniziò a cantare:
 “Guarda in là per il piano
 che il malato porta il sano..”
“Cosa dite, comare Volpe?”
“Oh niente! E’ una strofetta che fa bene alla mia zampetta!”

Carla Spadoni

La fola dl b'stenc

 Questa piccola filastrocca me la raccontavano le mie nonne tanto per passare il tempo (pensate detta dieci o venti volte)

Questa è la fola dl b'stenc cal dura un lung temp. Tl'arcontì? Tl'arcont rò. Tl'arcont un pò!

(Questa è la favola del bestenco che dura lungo tempo. Te la racconto? Te la racconterò. Te la racconto un po'!)

Guido Spadoni

"I Casi"

Un tempo, quando non esisteva ancora internet, la televisione, le strade carrozzabili e il telefono, gli Uglianini si riunivano a "veglia" intorno al fuoco nei focolari o nei seccatoi e si raccontavano delle storie ambientate nel paese con protagonisti uomini ed animali. Queste storie, che qualche volta potevano avere ispirazione dalla realtà, venivano chiamate "casi".

Questa sezione è dedicata a tramandare le storie. Ringraziamo chi volesse collaborare ad ampliarla con altri racconti. 

Il caso della gallinella

Tanto tempo fa, quando ad Ugliano non arrivavano ancora le macchine, la nonna Angiolina aveva una bella gallinella bianca. Era davvero molto bella con un piumaggio candido e lucente, di cui era molto fiera tanto da essere diventata sfacciata e prepotente. La nonna Angiolina a volte era proprio stufa della sua sfacciataggine, però la sopportava perché le voleva bene e le era grata per le uova fresche che deponeva ogni giorno nel pollaio.

Una volta la nonna aveva appena finito di scopare sotto il voltino, quando quella bestiaccia fece una grossa cacca proprio sull’uscio della casa. La nonna, irritata, la prese a palettate nel sedere. La gallinella offesissima decise di andarsene. Pensava tra di sé:  " Ora te la faccio vedere io! Vedrai cosa farai senza le mie uova! Io non ho più bisogno di te! ". Detto fatto: uscì di corsa, attraversò tutto il paese, percorse in fretta la Via della Foce senza incontrare nessuno tranne il solito Moro, l’asino di Giandomè Fiorelli, che tornava alla sua stalla. Fu alla Maestà, salì sopra Orta, arrivò a Sant’Antonio, prese la strada per Fenagliula e il Vallone.

Era luglio e il Vallone era pieno di  "baccule" (mirtilli). La gallinella, felice di essere libera, si fece una spanciata. Poi si addormentò in mezzo all’erba, sotto un fresco cespuglio. Al mattino si sveglio tutta allegra e passò la giornata mangiando a crepapelle i mirtilli e i lombrichi grassottelli. Ogni tanto esprimeva la sua gioia con un allegro  "coccodè ". Passarono i giorni e la gallinella si sentiva una regina, non rimpiangeva il pollaio e i manicaretti che le preparava la nonna Angiolina; le sembrava di avere tutto ciò che le serviva anche se a volte si sentiva un po’ sola.

Una mattina molto presto, però, quando era ancora mezzo addormentata, sentì un frullo di ali: era la cicogna che le portava dei pulcini. La nostra gallinella ebbe allora una numerosa compagnia: passava tutte le giornate in mezzo ai mirtilli, andava avanti e faceva  "cocco-cocco-coccodè" e i pulcini dietro  "pio-pio-pio".

Passava il tempo, venne agosto, poi settembre, le giornate sei erano accorciate, ogni tanto c’era un temporale e la povera gallinella doveva coprire con le ali i suoi piccoli, che tremavano per il freddo e la paura dei tuoni. Anche il cibo oramai scarseggiava: i mirtilli erano finiti, l’erba era divenuta dura e pungente. I pulcini crescevano a vista d’occhio e avevano bisogno di pasti più sostanziosi. La gallinella era molto preoccupata, quasi quasi rimpiangeva il suo pollaio ad Ugliano:  "La nonna Angiolina non mi ha mai fatto mancare il granoturco e l’erbetta fresca. -diceva fra sé- Chissà se mi riprenderebbe nella sua casa?" Era però troppo indecisa, sapeva di averla combinata proprio grossa scappando. Il tempo però peggiorava; era quasi ottobre, cadevano le foglie, non si riusciva più a trovar riparo dalle raffiche del vento autunnale. La gallinella era ogni giorno più preoccupata e pensava sempre più spesso al caldo pollaio dove era vissuta in paese.

Una mattina finalmente si decise perché durante la notte era caduta la prima neve. Svegliò prestissimo i suoi piccoli e li preparò alla partenza. Veramente quelli non volevano alzarsi, avevano ancora sonno; ma la gallinella tanto fece che riuscì a farli uscire dal nido.

Si misero in cammino, la gallinella davanti facendo  "cocco-cocco-coccodè" e i pulcini dietro  "pio-pio-pio" Giunsero a S. Antonio, passarono dal Paretai, scesero giù da Orta e arrivarono alla Maestà, senza incontrare nessuno. Lì si imbatterono nella Renata dei Salvoni con in capo una  "cagnada" di erba medica. Ella riconobbe la gallinella ed esclamò:  "Toh! La gallinella dell’Angiolina! E che bei galletti! Chissà come sarà contenta di vederli!".

La gallinella, tutta contenta, prese coraggio e andò avanti tutta impettita con la cresta dritta per l’orgoglio. Incontrò nella Via della Foce Miglio e l’Annetta che andavano a far legna con il loro mulo; videro la gallinella e dissero:  "Come è ben pasciuta, che bei galletti!".

Più avanti si imbatte in Giuannin del Zic; anche lui la riconobbe ed esclamò:  "Come sarà contenta l’Angiolina!".

Oramai la gallina con i suoi piccoli, che come si è capito erano diventati degli splendidi galletti, era giunta alla Chiesa. Era piena di speranza, ma al tempo stesso le batteva forte il cuore perché non sapeva come sarebbe stata accolta. Faceva due passi avanti e poi ne faceva tre indietro. Finalmente, tutta tremante, giunse al Palazz. Non poteva più indugiare, doveva decidersi ad entrare nella casa della sua vecchia padrona. Era ancora lì indecisa, quando proprio l’Angiolina uscì nell’aia con il secchio dell’acqua in mano. La vide con tutti i suoi galletti e  "La mia gallinella -esclamò piena di gioia- e che bei galletti! Entra povera zicca, entra!". Finalmente tranquilla la gallinella entrò nel pollaio.

La nonna Angiolina preparò una grossa ciotola di farina di castagne mescolata con il latte e la rigovernatura dei piatti. Mentre i nuovi venuti mangiavano con appetito quel gustoso manicaretto, la nonna chiamò il nonno Nello perché allargasse il pollaio: i galletti infatti erano così  numerosi da non potere stare là dentro.

Anche il nonno fu contento della loro venuta e si affrettò ad ingrandire il pollaio spingendo con forza le pareti. Non aveva mai visto così tanti galletti: pensate che, ad alcuni di essi, sta ancora tirando il collo…

Carla Spadoni