Ricordi di Natale

Quando ero bambino e vivevo a Ugliano, il mese di dicembre era, per me, il periodo più atteso dell’anno.
Forse perché non soffrivo ancora il freddo come lo soffro adesso, oppure perché, pescando nel cassetto dei ricordi, emergono i fatti e i sentimenti che più hanno segnato il nostro passato.
E’ per questo che voglio raccontare il mio dicembre di tanti anni fa.
Già ai primi giorni del mese le vette più alte dei monti circostanti erano imbiancate dalla neve che, pian piano, scendeva fino al paesello. Infatti una mattina, guardando dalla finestra, ho scoperto che i tetti rossi delle case erano diventati bianchi: nella notte era nevicato. Fu il risveglio più atteso e felice.
Una velocissima colazione e ..via, con la cartella sulle spalle verso la scuola (ogni scolaro doveva portare tutti i giorni invernali anche un pezzo di legna per riscaldare l’aula). Il tratto di strada era breve, ma io lo allungai più che potei, procedendo a zig-zag, come fanno le barche a vela quando vanno di bolina, perché calpestare la sofficissima neve appena caduta, per un bambino, è una cosa bellissima anche in città, ma farlo in un piccolo paese di montagna ti da una sensazione indescrivibile.
Il cielo era azzurro, limpidissimo e il silenzio assoluto, ovattato, interrotto solo dal cinguettio dei passeri che si rincorrevano nell’aria frizzante, non so se felici anche loro o, probabilmente, preoccupati perché il terreno ricoperto non permetteva loro di trovare da mangiare.
Poi il ritorno a casa. La neve cominciava a sciogliersi sotto i raggi del tiepido sole; la cosa però agevolava la confezione delle “palle” per la tradizionale battaglia con gli amici.
Verso la metà del mese iniziava la preparazione del materiale necessario per la realizzazione del presepe: il muschio scelto nel bosco, le statuine di gesso colorate (la plastica non esisteva ancora), un piccolo ruscello finto (di stagnola), il fondale di carta con il cielo blu e le stelle disegnate. La capanna richiedeva l’aiuto del papà perché era la “cosa” più importante, da posizionare in primo piano. La Sacra Famiglia e l’Angelo erano gli   stessi, da sempre, perché ereditati dalla mamma; le pecorelle aumentavano di numero, ogni anno, come in un allevamento. L’impianto d’illuminazione era realizzato in modo molto  artigianale e il rischio incendio non preoccupava solo la nonna.
La vigilia di Natale era dedicata alla costruzione della “lanterna per far chiaro al Bambino che nasce”. Si trattava di incollare piccoli listelli di legno alla carta velina, in modo che formasse una lanterna, sul cui fondo si inseriva una candela da tenere accesa durante tutta la Messa di mezzanotte, stando attenti, questa era una gara tra bambini, che la candela non incendiasse la carta.
Dopo la Messa si tornava subito a casa per mangiare, a famiglia riunita, il tradizionale pane con le noci che la nonna aveva cotto nel forno a legna.
Il pranzo di Natale era quello dei giorni di festa. Nell’angolo della stanza c’era il presepe e un piccolo albero di ginepro che io prelevavo alcuni giorni prima nel bosco, e le mie sorelle addobbavano con ninnoli  confezionati da loro (non mancavano mai le noci ricoperte con la stagnola).
Io guardavo il Bambino appena nato posto nella mangiatoia, al centro del mio presepe, ed ero attratto da quelle piccole braccia allargate, come a voler abbracciare tutto il mondo intero. 
Molti anni dopo, la stessa sensazione l’ho provata, con grande commozione,  quando mi sono inginocchiato, per il solo breve tempo che era concesso, sul Luogo della “vera mangiatoia” di Betlemme, dove il nostro Salvatore fu deposto da Maria e Giuseppe.
Luigi Castagnoli